«Caro amico, cara amica….». Eccola, la lettera con cui il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, accompagna l’euroconvertitore per gli italiani. Nel 2001 è costato intorno ai 20 miliardi di lire, l’ omaggio, cioè circa 10 milioni di euro: non l’ apparecchio in sé, ma tutta l’operazione di impacchettamento e spedizione. La cifra include anche una serie di altre iniziative condotte dalla presidenza del Consiglio e dalle Poste italiane, sempre in materia di euro. Ultrapiatta, grande come una carta di credito, la macchinetta viene dall’Asia, è di colore blu, ha la calcolatrice incorporata, una batteria che dura due anni, la bandiera italiana stampigliata su un lato, con le stelline dell’Europa che la circondano. I tasti sono pochi, il minimo indispensabile, e tutti di colore giallo: on per accendere e spegnere, il simboletto dell’euro per la conversione nella nuova moneta, quello della lira per fare l’operazione opposta, i classici «+», «», «x» e «:» come in ogni calcolatrice che si rispetti. Vuole essere un oggetto facile, per semplificare una operazione che poi, alla prova dei fatti, non sarà proprio una passeggiata, specie per le cosiddette «fasce deboli», bimbi, anziani, portatori di handicap. Certo, c’è stata e c’è una massiccia campagna pubblicitaria per spiegare che un euro vale 1.936,27 lire, per dire quali sono le regole e complicanze della conversione, per stabilire a quale decimale si fanno gli arrotondamenti.